Moreno Cardone
Sono cuoco per “amori”. Credo che come me molti altri abbiano scelto questo mestiere grazie ai sentimenti. Il primo amore: la terra in cui sono nato, la Maremma Toscana. I miei nonni erano contadini di Alberese. Sono cresciuto tra i profumi, i colori, i sapori genuini della terra e del mare del Parco Naturale dell’Uccellina. La mia infanzia ha segnato il presente e il futuro. Il secondo amore: la cucina, mi ha incontrato in un forno e non mi ha più abbandonato. Un incontro casuale, inaspettato, e, forse proprio per questo, affascinante, ogni giorno ricco di nuovo piacere. Il terzo amore: Samantha, la mia compagna, e i miei due figli, Fernando e Mattia. Senza di loro non immagino una vita. Mi accompagnano e danno la forza per creare ogni giorno qualcosa di nuovo, di straordinario. Nel nostro ristorante c’è tutto questo insieme. Il piacere di ricevere ed accogliere è, un po’ come presentare noi stessi. Ogni piatto racconta. Il prodotto per me è l’unica verità. Ogni buon prodotto porta con sé la storia di una buona persona, per questo ha un sapore incomparabile. Senza questo un cuoco non è nulla. L’abilità del cuoco sta nel valorizzarli nel modo più semplice possibile. Ancora oggi cucino come si cucinava una volta: con le mani, gli occhi, le dita. Si tratta di plasmare la materia. L’ho imparato da mia nonna e da mia madre Franca, osservando i loro gesti quotidiani, mentre preparavano la pasta fatta in casa oppure la cacciagione. Il cibo dev’essere vero, bello e buono. Per il mio ristorante faccio la spesa al mercato, osservo a lungo, parlo con il produttore prima di decidere. Cre- do che il mio mestiere di cuoco cominci da qui. Sono un intermediario “culturale” tra il produttore, il banco del mercato e il mio ospite. La mia cucina è un’interpretazione con basi solide e il desiderio, ogni giorno, di verità. I sapori veri, non mascherati, somigliano molto alle persone vere che hanno fatto nascere i prodotti, a coloro che hanno catturato la cacciagione o il pesce, a quelli che mi scelgono e vengono a mangiare. I sapori veri somigliano molto al fornaio da cui imparai in un panificio a Marina di Grosseto. È li che mi appas- sionai alla preparazione dei dolci, per le decorazioni e la possibilità di creare con le mani qualcosa di unico. Somigliano anche al vecchio Montanelli, proprietario di una pasticceria storica di Grosseto, che mi spinse a migliorare e studiare frequentando alcuni corsi in Arte bianca. Poi venne il Clap’s, una pizzeria che presto divenne qualcosa di più. Una palestra di cucina per me e per i miei sempre più numerosi clienti sottoposti ad esperimenti innovativi. Nacque un impasto innovativo, fatto da una lievitazione molto lenta, una manipolazione particolare e l’unione della farina 00 con farine di soya. Tra il 2000 e il 2005 vennero i premi, tre italiani ed uno europeo. Quello che mi fece vincere a Montecarlo, ricordo ancora la motivazione, fu“l’accostamento gastronomico al palato e la fantasia creata nella preparazione”. Vinsi, infatti, il primo premio per una pizza con mozzarella, radicchio saltato in padella, scaglie di cioccolato al peperoncino e colatina di riduzione di lamponi. Una sera mentre ero a lavoro al Clap’s, un cliente dopo aver assaggiato la mia pizza, chiese di potermi parlare. Era un rappresentante della Knorr. Da quell’incontro nacque una collaborazione, diventai Chef Angel nelle fiere organizzate dalla multinazionale della ristorazione. Un’esperienza che mi ha permesso di girare l’Italia e di co- noscere tecnicamente tantissimi prodotti. Poi arriva il 2005 e L’Uva e il Malto.